Da pochi giorni è divenuto attuativo il Regolamento UE 2016/679 per
la tutela dei dati personali – meglio noto come General Data Protection
Regulation o GDPR – e tante sono le problematiche già emerse.
Il GDPR era stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale europea il 4
maggio 2016 ed era entrato in vigore il ventesimo giorno successivo, ossia il 24
maggio 2016, ma concedeva un periodo di due anni – decorrenti dalla sua entrata
in vigore – affinché gli Stati membri potessero allineare le rispettive normative
interne alle disposizioni in esso contenute.
Ebbene, questo biennio di vacatio è terminato e, dal 25
maggio c.a., il Regolamento è definitivamente efficace e vincolante.
Allo stato attuale, solo quattro sono i Paesi che si sono adeguati
– Austria, Germania, Slovacchia e Svezia – ma, trattandosi di Regolamento UE,
alcuna complicazione dovrebbe evidenziarsi, non essendo necessario il
recepimento da parte degli Stati dell’Unione e disapplicandosi, ex lege,
la precedente normativa in tema di privacy – per l’Italia ci si riferisce al vecchio Codice della privacy (D.Lgs.
30 giugno 2003, n. 196).
In realtà, la questione non è così pacifica e lineare. Il
problema, infatti, si pone proprio con riferimento a quelle norme del GDPR che,
come vere e proprie “norme in bianco”, lasciano ampi margini di discrezionalità
alle normative interne dei Paesi membri e richiedono, necessariamente, un
coordinamento tra queste e il Regolamento, teso all’armonizzazione e alla
coerenza complessiva dei singoli ordinamenti.
Per tale ragione, la L. 25 ottobre 2017, n. 163, delega al Governo
l’adozione di un decreto legislativo recante disposizioni per l’adeguamento
della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento, che l’Italia
avrebbe dovuto adottare entro sei mesi dalla pubblicazione della suddetta.
L’art. 13 della legge delega rimanda, tuttavia, all’art. 31 della
L. 24 dicembre 2012, n. 234, il quale prevede che, qualora gli schemi dei
decreti legislativi siano inviati alle Commissioni parlamentari per il
richiesto parere nei 30 giorni che precedono la scadenza dei termini di delega,
questi ultimi siano prorogati di tre mesi. Ecco giustificata, allora, la
proroga concessa al Governo italiano per l’adozione del decreto di adeguamento
che, originariamente fissata al 21 maggio, è ora slittata al 21 agosto c.a.
Uno schema di decreto legislativo di adeguamento al GDPR è già
stato sottoposto al vaglio del Garante che, lo scorso 22 maggio, ha manifestato
parere favorevole, espresso, tuttavia, a maggioranza e non all’unanimità del
Collegio.
Su svariati punti dello schema di decreto il Garante ha, infatti,
dimostrato perplessità e riserve, suggerendo al legislatore delegato, per un
verso, delle integrazioni e, per altro verso, delle modifiche più incisive, con
l’obiettivo di rimuovere criticità e dubbi interpretativi, nonché bilanciare
gli interessi coinvolti.
Alcune delle osservazioni formulate dal Garante riguardano:
- la CONSERVAZIONE dei DATI DI TRAFFICO TELEFONICO e TELEMATICO, poiché l’art. 11, comma 1, lett. i), nr. 3 dello schema di decreto conferma la deroga all’art. 132, commi 1 e 1bis del Codice della privacy, introdotta dall’art. 24 L. 167/2017, e prolunga a 72 mesi il termine di Data Retention di traffico telefonico e telematico, nonché dei dati relativi alle chiamate senza risposta. Questa scelta se, da un lato, risponde alla necessità di garantire mezzi di indagini efficaci a contrastare il terrorismo, dall’altro lato, come già sostenuto dal Garante nel parere datato 22 febbraio 2018, collide con il principio di proporzionalità tra esigenze investigative e limitazioni del diritto alla protezione dei dati dei cittadini (vedi sentenze CGUE: C-293/12, C-594/12, C-203/15, C- 698/15): maggiore, infatti, è il periodo in cui i dati vengono conservati nei server degli operatori di telecomunicazioni e maggiore è il rischio di una violazione dei dati personali stessi (c.d. data breach).
- il POTERE DI AGIRE e la RAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO, nella misura in cui lo schema di decreto, modificando l’art. 154-ter del Codice, prevede che il Garante sia rappresentato in giudizio dall’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 1 R.D. n. 1611/1933 – patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura per le Amministrazioni dello Stato – mentre il Garante suggerisce di applicare, più correttamente, l’art. 43 dello stesso R.D. n. 1611/1933, che prevede il patrocinio facoltativo per le Amministrazioni non statali autorizzate ad avvalersene;
- ILLECITI PENALI E AMMINISTRATIVI DERIVANTI DAL TRATTAMENTO ILLECITO DEI DATI, con riferimento ai quali si suggerisce di considerare, quale oggetto alternativo del dolo specifico anche il nocumento, in ragione dell’esigenza di presidiare con la sanzione penale condotte connotate da un simile disvalore, anche quando sorrette dal dolo di danno (danno d’immagine e reputazionale della vittima) e non solo da quello di profitto economico dell’autore dell’illecito.
- il CONSENSO DEL MINORE, poiché lo schema di decreto modifica l’art. 2-quinquies del Codice in maniera del tutto incoerente con altre disposizioni dell’ordinamento, consentendo, in relazione ai servizi della società d’informazione, “il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a sedici anni” quando, in altri settori del diritto, il limite d’età viene individuato nei quattordici anni (si pensi al cyberbullismo – art. 2, comma 1, L. 71/2017 – o al consenso all’adozione – art. 7, comma 2, L. 184/1983);
- il RIUTILIZZO DI DATI A FINI DI RICERCA SCIENTIFICA O A FINI STATISTICI, poiché la mancata definizione, da parte del decreto, della nozione di “riutilizzo” determina incertezza interpretativa. Il Garante propone, perciò, ti sostituire il termine “riutilizzo” con quello “trattamento ulteriore da parte di terzi”, allargando le maglie di quella che è la definizione di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico – applicabile solo a documenti contenenti dati pubblici nella disponibilità di pubbliche amministrazioni e di organismi di diritto pubblico – e inserendovi, in generale, i dati sensibili, giudiziari e quelli attinenti alla salute e alla vita sessuale (il cui trattamento è soggetto a particolari condizioni e limiti, imposti dal Regolamento).
Questi sono solo alcuni dei punti salienti affrontati nel parere
ma, per una conoscenza approfondita di tutte le specifiche osservazioni, si
rimanda al sito ufficiale del Garante per la protezione dei dati personali [https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/8948011
].
Il decreto ora è nelle mani delle Commissioni parlamentari, che lo
stanno esaminando, e successivamente tornerà a Palazzo Chigi per il via libero
definitivo del Consiglio dei Ministri.
Nulla esclude, pertanto, che l’attuale testo normativo possa
subire degli interventi e delle modifiche, accogliendo magari quelli che sono
stati i suggerimenti formulati dal Garante.
Ad oggi, perciò, ogni valutazione sul prossimo decreto legislativo
è inevitabilmente sospesa. L’unica cosa certa è che il Regolamento UE 2016/679
è efficace e vincolante nei confronti di tutti i cittadini dell’Unione europea
e che l’Italia, come gli altri Paesi che ancora non si sono uniformati,
necessita di una normativa di coordinamento, che faccia da tramite tra il GDPR
e la legislazione nazionale, eliminando l’attuale incertezza, non solo
normativa ma anche pratica.