domenica 10 aprile 2005

La detenzione di materiale pedopornografico all'interno dei pc (10.04.05)

La tutele dei moinori nella navigazione on-line


La sentenza in commento (Trib. Brescia, Sez. II, 24 maggio 2004, n. 1619) presenta alcuni aspetti di particolare interesse.
In primo luogo, essa ha ad oggetto una tematica delicata quale la tutela approntata nei confronti dei minori contro i reati a sfondo sessuale. Inoltre, e forse questa rappresenta la ragione di maggiore rilievo, nel caso di specie sono considerate condotte poste in essere nell’ambito del web.
Infatti il Tribunale di Brescia è chiamato a giudicare un soggetto che detiene sul proprio personal computer immagini di carattere pedopornografico, contenute in un file compresso (xr.zip) protetto da password.
La decisione che ci apprestiamo ad analizzare può essere riassunta in due passaggi fondamentali.
Da un punto di vista generale il Giudice afferma che la mera consultazione di materiale pedopornografico nel web non integra il delitto di cui all’art. 600-quater c.p., essendo necessario ai fini della sua sussistenza lo scaricamento del materiale sul disco fisso del p.c.
Alla luce di questa premessa, l’Autorità Giudicante, nel valutare la posizione dell’imputato, sottolinea che non può essere ritenuta consapevole la detenzione nel p.c. di materiale pedopornografico contenuto in un file compresso protetto da password, laddove manchi la prova che il soggetto sia stato in grado di aprirlo e visionarne il contenuto.
Dunque, la norma di riferimento, sulla cui applicazione il Giudice si interroga, è rappresentata dall’art. 600-quater cp (introdotta, insieme ad altri articoli, nel codice penale dalla L. 269/98), che punisce colui che consapevolmente si procura e dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori di diciotto anni.
Come sottolinea il Tribunale, la disposizione in oggetto mira a sanzionare il consumatore finale della pornografia, sull’ovvio presupposto che l’acquisizione di materiale pedopornografico contribuisca ad incentivare e a consolidare il relativo mercato.
La sentenza in esame si dimostra particolarmente apprezzabile allorché il Giudice, consapevole dell’assoluta peculiarità del mondo di Internet e delle sue potenzialità illimitate, precisa che la norma del codice penale punisce chi si procura o dispone di materiale illecito e non chi semplicemente lo visiona, così evitando pericolosi processi alle intenzioni; conseguentemente, il trattamento sanzionatorio non è rivolto a chiunque navigando on-line entri in contatto con immagini aventi contenuto illecito, ma solamente a coloro che se ne approprino, salvandole e veicolandole sul disco fisso del p.c. e su altri supporti tali da consentire la visione e la riproduzione.
Inoltre, non è sufficiente una semplice relazione materiale con le predette immagini pornografiche, poiché lo scaricamento dei materiali deve essere consapevole e volontario. Pertanto andranno esclusi profili di responsabilità penale nei casi in cui i materiali rinvenuti nei p.c. rappresentino la traccia di una pregressa consultazione del web, creata da sistemi di salvataggio automatico del personal computer.
Il Giudice, poste queste generali premesse al fine di inquadrare sistematicamente la fattispecie in esame, affronta il nodo problematico fondamentale, ovvero la verifica del carattere consapevole e volontario della memorizzazione sull’hard disc del p.c. dell’imputato delle immagini pornografiche in esso rinvenute, posto che tale attività materiale appariva inconfutabile dalle risultanze processuali.
Dal confronto tra il consulente tecnico della accusa e quello della difesa (sono questi i soggetti preposti a supportare le parti in causa, normalmente sprovviste di competenze particolarmente tecniche e specifiche) emergeva che:
- il file (denominato xr.zip) contenente le immagini di contenuto illecito, poteva, come sostenuto dalla difesa, essere un file relativo all’aggiornamento di un gioco elettronico, protetto da password;
- sul p.c. dell’imputato era installato un programma di decriptazione delle password, pur non essendo chiaro se questo potesse essere utilizzato per i file non in formato word o excel ma in formato zip, come quello in questione;
- non c’era traccia delle immagini illecite non solo nella cartella “file recenti”, ma neppure nella cartella “file temporanei”, presso la quale rimane l’impronta -per un periodo variabile- dell’apertura dei file visionati dall’utente, e quindi anche dei file dal contenuto delittuoso.
Alla luce dei suddetti elementi complessivi il Tribunale di Brescia “non ritiene che si possa affermare in modo persuasivo e tranquillizzante” che l’imputato abbia “consapevolmente scaricato da internet” le immagini illecite rinvenute in sede di indagine.
Infatti l’ipotesi, sostenuta dalla difesa, secondo cui l’imputato avrebbe scaricato il file nella convinzione che si trattasse dell’aggiornamento di un videogame, appariva plausibile al Tribunale.
Essa assume maggiore credibilità laddove si osservi la totale assenza di prove circa la consultazione e la visione delle immagini illecite scoperte, come si evince dalla ricognizione della cartella “file recenti” e “temporanei”. Proprio l’esame di quest’ultima cartella è particolarmente significativo, posto che essa rappresenta una sorta di memoria invisibile del computer e che spesso l’utente non è neppure consapevole delle informazioni relative alla propria navigazione in essa conservate.
Alla luce delle argomentazioni qui riassunte, il Giudice riteneva l’imputato non responsabile degli addebiti formulati nei suoi confronti poiché difettava, nel caso di specie, l’elemento soggettivo rappresentato, come detto, dalla consapevole e volontaria ricerca e appropriazione delle immagini illecite. Nella parte conclusiva della motivazione si legge infatti che “Deve allora conseguentemente pronunciarsi sentenza assolutoria ai sensi degli artt. 442 e 530, comma 2, c.p.p. per insussistenza del fatto”.
In conclusione l’intervento del Tribunale di Brescia, per i principi generali evidenziati, appare complessivamente condivisibile. Infatti contribuisce a non cadere in facili sillogismi ogni volta che si riflette sulla potenziale pericolosità del fenomeno Internet.

Nicolò Ghibellini